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La poeta Dapunt sarà ospite di Unimc: "Non faccio differenza tra vita e poesia, per me sono un'unità"

3' di lettura 18/05/2021 - Sarà ospite dell’università di Macerata oggi, martedì 18 maggio, alle 17 presso il Polo Pantaleoni, la poeta Roberta Dapunt.

L’incontro sarà coordinato da Costanza Geddes da Filicaia e Laura Melosi ed è parte del ciclo “Nel nome di Dante”, che propone letture della Commedia dantesca da parte degli scrittori contemporanei. Nata nel 1970 in Val Badia, Roberta Dapunt ha pubblicato nel 2018 il suo ultimo libro di poesia in lingua italiana, “Sincope”, edito da Einaudi. Qui parla del rapporto con la terra marchigiana, delle sue letture e della sua produzione.

Quale rapporto ha con le Marche e con i poeti marchigiani?
"Ho conosciuto le Marche attraverso l’amico pianista Paolo Vergari, nato e cresciuto a Porto Sant’ Elpidio, da lui ho imparato i sapori e la bellezza delle colline e del mare. E le Ginestre, la loro fioritura è una celebrazione di questa terra. Il mio rapporto con i poeti marchigiani si concentra nella loro lettura, Leopardi certo, e i versi di Umberto Piersanti, sono pagine che apro volentieri".

Qual è il ruolo della terra e del suo territorio nella sua produzione?
"Non faccio differenza tra vita e poesia, sono diventate per me un’unità. E mi succede questo anche tra il vicino e il lontano, anche loro ormai sono diventati un’unità. Non mi sento radicata ai luoghi, alla realtà montana e contadina della Val Badia. In uno dei miei versi ho scritto che sono la zolla staccata dei campi coltivati. Continuo ad esserlo. Ciononostante per ogni espressione, così per la poesia, ci vogliono una persona, un tempo e un luogo. Il mio è inesorabilmente il tempo presente, il primo luogo è quello che mi ospita, in questo la realtà rurale di un maso alpino".

Quale rapporto ha la sua poetica con quella di Dante Alighieri?
"Credo di poter dire che la mia poetica non ha nessun rapporto con quella di Dante Alighieri, se non nella concretezza dell’essere, fondamentale per chi si esprime poeticamente. L’esistenza di me e di te, ma anche di noi insieme, che siamo capaci di osservare noi stessi e gli altri. Parte da qui ogni lingua, dall’osservare, cioè dal considerare con cura ciò che abbiamo di fronte. Guardare, rivolgere lo sguardo per vedere, posarlo attentamente sulle cose e sulle persone, considerarle con attenzione, per curiosità o con intenzione critica, al fine di conoscere meglio, di rendersi conto di qualche cosa, di rivelarne i particolari e infine formulare le considerazioni e i giudizi".

Citiamo: "gratuitamente scrivo e mi dico poeta, / urtandomi contro i grandi che amo" (versi da “La terra più del paradiso”, Einaudi 2008). Cosa significa dirsi poeti, oggi? Chi sono i suoi maestri?
"Chiamarsi poeta è una qualifica difficile da pronunciare oggi giorno, poiché non esiste più il ruolo del poeta. Nel Medioevo e oltre era considerato un mestiere ed era un’attività privilegiata e il poeta aveva un ruolo determinante nella società. È un bel pensarsi, ma appartiene al passato. Oggi la domanda corrente è: qual è il ruolo della poesia. E questa è una domanda incurante di colui o colei che scrive la poesia. Semplicemente non ci si dà pensiero del poeta. E dunque, io in questo presente, non so bene come definirmi. Anche se alla domanda: tu cosa fai? la risposta ci sarebbe. Io faccio la poeta. I miei maestri sono coloro che dentro e fuori dai libri mi insegnano a guardare oltre, ad osservare e ascoltare la totalità dell’esperienza dell’essere umano. Per me sono maestri di vita, alcuni si pronunciano in versi e riempiono libri, altri si fermano al silenzio e all’umile espressione della loro presenza".


di Lorenzo Fava
redazione@viveremacerata.it





Questo è un articolo pubblicato il 18-05-2021 alle 10:28 sul giornale del 19 maggio 2021 - 238 letture

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